giovedì 28 febbraio 2013

Gabriele Rossetti

La mia vita è un curiosissimo romanzo, e forse a miglior ozio mi determinerò a scriverla. Nato di onesta ma povera famiglia nella città del Vasto in Abruzzo, fui quasi l’educatore di me stesso. Un signore del mio paese ebbe per caso un mio componimento poetico fra le mani, ed andato a Napoli lo mostrò al marchese del Vasto; e il marchese scrive tosto al suo agente che consegnasse al giovinetto Rossetti cento ducati, e glielo mandasse a Napoli, perché voleva prenderlo sotto la sua protezione per compire la sua educazione. Vado a Napoli, ma poco dopo perdo quel mio sostegno che dovè fuggire in Sicilia col Re, a cagione della invasione de’ Francesi. Rimasto in quella vasta capitale senz ‘appoggio, fra poco tempo (contrastando col bisogno) mi trovo cresciuto in fama, senza saper come, e senza quasi volerlo. Ogni volta che legge va qualche mia poesia in publiche accademie, mi vedeva tanto applaudito che qualche volta credea che burlassero ... e facean davvero!
Fui impiegato dai Francesi, sotto il re Giuseppe Bonaparte, come uno de’ direttori del Museo Reale; più tardi fui fatto poeta del Real Teatro di San Carlo; e tutto ciò senza mai chiederlo; poichè la natura mi ha fornito di qualche vigor di mente nell’acquistare cognizioni, ma di nessuna energia nel cercare i miei vantaggi civili; onde nacqui povero, e tal morrò. In Napoli era divenuto il poeta fashionable; tutt’ i signori mi cercavano a gara; e spesso io mi nascondeva a tutti per chiudermi coi miei pochi libri: ma allora mi bastava la penna, un calamaio e poca carta. Torno il re Ferdinando dalla Sicilia, e al leggere (anche per casualità) un mio componimento poetico, mi raddoppiò la paga nel Museo; e mi fe’ offrire se io volessi entrare nella carriera politica e amministrativa; ma io ricusai umilmente, dicendo che preferiva rimanere fra i libri e i monumenti della Biblioteca e Museo Reale. Oh, che politico e amministrativo che sarei stato io!
Venuta la rivoluzione de11820, le mie Odi civiche furono accolte con tale entusiasmo dal publico che veramente pareva un furore. La poesia fu il principio di mia fama letteraria, ella il fu della mia disgrazia... il Re, che mi vide sì distinto dal publico, temendo ch’io avessi su lui influenza, cominciò ad odiarmi a morte, e voleva avermi nelle mani; e chi sa che sarebbe stato di me!Ma io mi era nascosto. Le mie odi, eh ‘erano giunte fin in Inghilterra, erano state ammirare da Lady Moore, moglie dell’ammiraglio Sir Graham Moore. Venuta a Napoli quella Signora, volle conoscermi, mi accolse con amorevolezza e mi colmo di gentilezza. Caduta la rivoluzione, ella disse al marito: Salvami Rossetti. Mi fu offerto un asilo sul vascello ammiraglio, il Rochfort, ma prima ricusai, e poscia accettai. Due uffiziali inglesi, speditimi da quel signore benevolo, mi vestirono da uffiziale, con uniforme inglese, e mi condussero in carrozza sul naviglio.
Così di 7 milioni di abitanti che quel regno contiene, io solo fui salvato dalla generosità di questa magnanima nazione; e qui ripeto: la poesia avea prodotto la mia riputazione, ella la mia sventura, ella la mia salvazione. Fui condotto a Malta, dov’era stato preceduto dalla Fama. Essendo fuggito nudo e crudo, per supplire alle necessità della vita diedi una publica accademia di poesia estemporanea:li mi conobbe l’eccellentissimo Frere; mi cercò, mi si dichiaro amico, mi colmò di cortesie e di benefizi: tutta spontanea fu l’amicizia sua. In Malta ebbi molti affari: lavorava dalla mattina alla sera nel dar lezioni; là composi il Salterio, là un’altra opera in prosa sulla letteratura e la lingua Italiana, che non ho mai pubblicato, e dove sono cose degne di esser lette. Fui condotto in Inghilterra dallo stesso ammiraglio inglese. Qui scrissi, qui publicai il mio Comento analitico sulla Divina commedia, la quale mi fu sorgente di dolori e dispiaceri; e fra i piaceri conto quello della spontanea amicizia, benevolenza e protezione di Carlo Lyell, la quale mi fu d’appoggio alla pubblicazione dello Spirito antipapale, e dell’Amor platonico ... ma no, quest’ultimo non sarà publicazione: esso sarà conosciuto da pochi, me vivente; e forse darà rinomanza a me morto. Mille avventure, mille aneddoti mi sono avvenuti nel corso della vita: spontanea fu l’amicizia del barone di Arianello, che volle fare stampar i due primi volumi delle mie poesie giovanili, quando aveva appena 21 anno. Ho appena tracciata una linea della mia avventurosa e fortunosa vita; e non so perchè ho fatto questa lunga tiritera: un impulso mi ha mosso la penna, ed io senza saper perché ho imbrattate queste due pagine. Scusate Signor mio, la rapsodia stucchevole.
[G. Rossetti, Lettera a C. Lyell, 2 giugno 1840]
(1783-1854)


John Steinbeck





"Se le galline avessero un governo e una chiesa e una storia avrebbero un'opinione distaccata e disgustata delle gioie umane. Se a un uomo capita qualcosa di allegro e di bello, subito un pollastro ci rimette il collo."

mercoledì 27 febbraio 2013

Victor Hugo

L’uomo è la più elevata delle creature.
La donna è il più sublime degli ideali.
Dio fece per l’uomo un trono, per la donna un altare.
Il trono esalta, l’altare santifica.
 L’uomo è il cervello. La donna il cuore.
Il cervello fabbrica luce, il cuore produce amore.
La luce feconda, l’amore resuscita.
L’uomo è forte per la ragione.
La donna è invincibile per le lacrime.
La ragione convince, le lacrime commuovono.
L’uomo è capace di tutti gli eroismi.
La donna di tutti i martìri.
L’eroismo nobilita, il martirio sublima.
L’uomo ha la supremazia.
La donna la preferenza.
La supremazia significa forza;
la preferenza rappresenta il diritto.
L’uomo è un genio. La donna un angelo.
Il genio è incommensurabile;
l’angelo indefinibile.
L’aspirazione dell’uomo è la gloria suprema.
L’aspirazione della donna è la virtù estrema.
La gloria rende tutto grande; la virtù rende tutto divino.
L’uomo è un codice. La donna un vangelo.
Il codice corregge, il vangelo perfeziona.
L’uomo pensa. La donna sogna.
Pensare è avere il cranio di una larva;
sognare è avere sulla fronte un’aureola.
L’uomo è un oceano. La donna un lago.
L’oceano ha la perla che adorna;
il lago la poesia che abbaglia.
L’uomo è l’aquila che vola.
La donna è l’usignolo che canta.
Volare è dominare lo spazio;
cantare è conquistare l’Anima.
L’uomo è un tempio. La donna il sacrario.
Dinanzi al tempio ci scopriamo;
davanti al sacrario ci inginocchiamo. Infine:
l’uomo si trova dove termina la terra,
la donna dove comincia il cielo.  

lunedì 25 febbraio 2013

Carlo Goldoni



«Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata. Questa è la mia debolezza, e questa è la debolezza di quasi tutte le donne.[…] Voglio burlarmi di tante caricature di amanti spasimati; e voglio usar tutta l'arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri che son nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura».(Mirandolina, da LA LOCANDIERA, atto primo)
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Carlo Goldoni, nei suoi Mémoires, ci lascia un’immagine di sé sorridente e pacata. Ma, dietro questa immagine bonaria, si nascondono in realtà un temperamento inquieto e malinconico e un uomo determinato e di saldi principi («Ero alla corte, ma non ero cortigiano», scrive nei Mémoires, III XII). Uomo pratico ed esperto, Goldoni non sottovalutava mai le esigenze di impresari, pubblico e attori, adattando di volta in volta i propri testi. Però, con garbata ironia e consapevole determinazione, Goldoni fu in grado di riformare il teatro, liberandolo dalle figure stereotipate (le maschere) della Commedia dell’Arte. Gli attori, infatti, erano soliti improvvisare le battute, facendosi guidare da un canovaccio e attingendo a un repertorio di motti e di espressioni comiche tradizionali. Goldoni si batteva invece per un teatro fondato su testi scritti per intero, che arginassero gli eccessi e le volgarità ai quali gli attori troppo spesso si lasciavano andare. La prima commedia che non lascia spazio a improvvisazione è La donna di garbo, del 1743. I suoi personaggi, e soprattutto le donne (La locandiera, La trilogia della villeggiatura), acquistano una fisionomia e una psicologia propria, individuale. Anche la lingua ,diventa più duttile, popolare e mimetica. Molte commedie, poi, (come Il campiello o Le baruffe chiozzotte) sono composte in veneziano, che è, nelle parole dell’autore, «senza dubbio il più dolce e il più piacevole di tutti i dialetti d’Italia» (Mémoires, II 2). Goldoni mise in scena soprattutto l’universo borghese, che è «un rango civile non nobile e non ricco; poiché i nobili e ricchi sono autorizzati dal grado e dalla fortuna a fare qualche cosa di più degli altri. L’ambizione de’ piccioli vuol figurare coi grandi, e questo è il ridicolo ch’io ho cercato di porre in veduta, per correggerlo, se fia possibile» (prefazione Al Lettore della commedia Le smanie per la villeggiatura). Ma non vi è una denuncia del vecchio mondo né l’annuncio di uno nuovo: il commediografo veneziano sostituisce la maschere con personaggi veri che abbiano una qualche attinenza con la vita quotidiana, restituendo dignità letteraria anche a figure borghesi e popolari.


Liberamente tratto da Treccani.it

Leon Battista Alberti



Letterato e architetto (Genova 1404, da padre bandito da Firenze - Roma 1472). Appassionato di letteratura ma anche di matematica, scrittore e grande architetto, pedagogista e teorico dell'arte, uomo di studi ma anche atleta, sintetizzò nella sua opera i caratteri tipici dell'Umanesimo: la curiosità per il vasto spettacolo del mondo; l'amore per gli antichi, in modo particolare per i Romani; la passione per le arti come suprema manifestazione della creatività umana e come ricerca dell'armonia; l'ideale dell'uomo virtuoso, che cerca di forgiare il proprio destino. L'arte dell'Alberti fu decisiva per i successivi sviluppi della architettura del Rinascimento. Dallo studio dei monumenti antichi Lui ricavò un senso delle masse murarie e del movimento ben diverso dalla limpida semplicità del Brunelleschi, e se ne valse in modi originali che precorsero l'arte del Bramante.
Alcune delle sue opere

Palazzo Ruccellai - Firenze
Facciata S. Maria Novella - Firenze

                                          Il Tempietto del Santo Sepolcro
                                          Chiesa di S.Pancrazio - Firenze

                                            Tempio Malatestiano - Rimini

Chiesa S. Sebastiano - Mantova

Basilica di S. Andrea - Mantova

giovedì 14 febbraio 2013

I nostri incontri : ti apettiamo.


di Ermanno Crescenzi e Arcangela Contessa                
                           
                       
  
Giovedì 14 febbraio alle ore 18.oo presso il cenacolo
“San Marco”
La fucina delle parole presenta

Amore : dalla terra al cuore

Un viaggio diviso in tre parti che dall’amore per il creato degli
indiani d’America,attraversa impressioni ed emozioni sui capisaldi
del vivere; per condurci infine a quel’amore che muta l’io ed il tu in quel noi, che perpetua la vita.


Letture di
Arcangela  Contessa
Natascia  Fabbi
Fabio  Pecorelli
Ermanno  Crescenzi

Sound design a cura di
Andrea  Socci e Francesco Mingarini   

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Ermanno Crescenzi, vive e lavora a Terni. La ricerca esistenziale, comunicativa ed estetica, ha  fatto si che si avvicinasse sia alla scrittura che al teatro, dove con le sue interpretazioni  spazia tra  ruoli classici e contemporanei. Presente in diverse Antologie, e tra i vincitori di alcuni concorsi di poesia, ha pubblicato nel 2011 con Occhi di Argo LA ROSA DELL’USIGNOLO  e  nel 2012 IL MARE DELL’ANIMA. E’stato promotore, insieme ad Arcangela Contessa del Gruppo Versi in Libertà e fondatore con la stessa  nel 2012 della Associazione La Fucina delle Parole.

Arcangela Contessa, vive e lavora a Terni.  Per molti anni ha alternato impegno civico e scrittura, classificandosi prima assoluta in molti concorsi di poesia, tra cui nel 1989 con la silloge Segmenti d’amore e seconda nel 1990 con il racconto Casalinghitudine: tra aspirazione e bisogni, al San Valentino. Presente in diverse antologie, ha pubblicato con Albatros  nel 2011 BATTITO D’ALI e nel 2012 con Occhi di Argo ORME. Promotrice insieme ad Ermanno Crescenzi del Gruppo Versi in Libertà, ha fondato con lo stesso nel 2012, l’Associazione La Fucina delle Parole.
   
Come promotori del Gruppo Versi in Libertà  abbiamo organizzato sette recital:
·          21 Marzo 2011 al Caos di Terni: giornata internazionale della poesia
·         21 Giugno 2011 al Caos di Terni: “Pentagrammi, note e parole”per la festa della  musica.
·         Giugno 2011abbiamo altresì collaborato con le nostre recitazioni, alla realizzazione di un cd contenente i tredici racconti vincitori del concorso letterario “Bambina mia t’insegno una fiaba”indetto e edito dall’associazione Occhi di Argo di Agropoli (Sa)
·         Ottobre 2011 presso il teatro U. Montani di Casteltodino, in collaborazione con la Proloco:  “ Il coraggio della pace”
·         Dicembre 2011 presso il teatro U. Montani lettere e poesie per i festeggiamenti dei 150 dell’unità d’Italia. 
·         Febbraio 2012 StraValentino:” Amore: Lettere, poesie sms”
Come ass.culturale LA FUCINA DELLE PAROLE:
·         10 Agosto 2012 Piediluco: “Col naso all'insu'... a rimirar le stelle”
·         21 Dicembre 2012 in collaborazione con la Biblioteca Comunale di Sangemini: “La pace: un sentiero da percorrere”



L'amore nella fotografia

Sono tante le immagini fotografiche che andrebbero citate per delineare un quadro minimo che dia l’idea di quanto quest’arte, abbia influito nel creare quello che potremmo chiamare un “comune patrimonio di riferimento”. Consapevoli di  non poter qui, essere esaustivi, vi proponiamo solo alcune istantanee
La prima fotografia che va ricordata è di Doisneau ed è intitolata “Bacio davanti all’Hotel de la Ville”, scattata nel 1950.

 Il grande fotografo francese ha immortalato quello che viene riconosciuto come il simbolo dell’amore sfrontato giovanile, un’icona moderna nel vero senso del termine. Lontana da qualunque schema consueto, l’immagine ripresa da Doisneau isola nel tempo e nello spazio due innamorati. L’ambientazione è quella della Parigi degli anni Cinquanta, un’atmosfera romantica di cui trent’anni dopo il fotografo avvertirà la mancanza.
Nata per un servizio realizzato per la rivista Life con tema “gli innamorati di Parigi”, la foto è una delle più popolari di Robert Doisneau. Uno scatto così famoso da portare a credere molti giovani di riconoscersi nei due personaggi.
Altro bacio entrato nella storia è quello colto da Alfred Eisenstaedt nel 1945, anno della fine della seconda guerra mondiale. “War’s end kiss”,

Mostra una coppia newyorchese che si riabbraccia al ritorno dei soldati dalla guerra: lui è riconoscibile come un militare della marina statunitense. Anche in questo caso un semplice scatto è passato alla storia perché capace di condensare in un attimo una serie di motivi che vanno ben oltre l’elemento accidentale: la fine del conflitto mondiale porta con sé la fine di un’attesa che accomunava molte coppie e famiglie; la sintesi di una vita che ricomincia nonostante tutto.
Non si può infine dimenticare con un solo esempio quello che col tempo è diventato un vero e proprio filone tematico: le coppie di bambini ritratti in atteggiamenti romantici, abbracci, baci. Tra gli scatti più celebri è sicuramente quello di Kim Anderson, intitolato appunto “First kiss”.

 Nella fotografia, evidente messa in scena senza bisogno di alcuna controversia a riguardo, si vedono due bambini abbigliati da adulti che si avvicinano per scambiarsi quello che ha tutta l’aria di essere il loro primo bacio.

mercoledì 13 febbraio 2013

L'amore nella pittura



                   Anche la storia della pittura è disseminata di opere riguardanti l’amore. Sin dal ‘400 assistiamo alla produzione di tele e pale, ovviamente per ambienti privati, richiesti come propiziatori di buona fortuna, in genere per matrimoni.
E’ questo il caso dei cassoni nuziali, decorati con scene mitologiche quali il Ratto d’Europa, Apollo e Dafne, numerose altre. 

Tra le tele più famose va menzionata “Amor Sacro e Amor Profano” (Roma, Galleria Borghese), opera commissionata nel 1514 per il matrimonio tra Nicolò Aurelio e Laura Bagarotto.

Altra tela tizianesca con le stesse funzioni è la “Venere di Urbino”, conservata agli Uffizi. Richiesta da Guidobaldo II della Rovere, figlio di Francesco Maria duca d’Urbino, qualche anno dopo il suo connubio con la giovanissima Giulia Varano di Camerino. Nel 1534, anno del matrimonio, la fanciulla ha solo dieci anni: il legame tra i due sposi è dichiaratamente politico, volto a far ottenere al ducato d’Urbino il territorio di Camerino. L’interpretazione più verosimile del quadro lo vuole come un dono di Guidobaldo a Giulia, fattole quattro anni dopo, quando ormai il matrimonio può esser consumato: così si spiegherebbe il rimando alla Venere classica, modello da imitare, e la forte carica sensuale emanata dal dipinto.

Tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600 il tema amoroso continua ad essere rappresentato nella sua doppia connotazione: così appare nel celebre “Amor vittorioso” di Caravaggio (Berlino, Staatliche), in cui il piccolo Eros trionfa anche nel nome del committente Vincenzo Giustiniani, e in quello di Baglione dipinto per lo stesso commitente.

La storia dell’amore nel prosieguo della produzione artistica del ‘600 è dominata da una fitta riproduzione di immagini di putti o amorini, che soprattutto in età barocca compaiono nelle opere di celebri artisti come Pietro da Cortona o Poussin. Tale tendenza è ancora viva nel secolo successivo, che però, soprattutto nell’area transalpina, si arricchisce di nuove iconografie. In Francia per esempio ci si sofferma sull’elemento psicologico dell’amore, come nell’opera di Fragonard “Lettera d’amore” (1770) oggi al Metropolitan Museum di New York, che raffigura una donna in trepidazione al momento di aprire la busta contenente una missiva del suo amante.

Tra l’800 ed il ‘900, infine, si ritrovano almeno due importanti opere che ancora oggi fanno parte dell’iconografia amorosa per antonomasia.
La prima è “Il bacio” di Francesco Hayez della Pinacoteca di Brera. Il quadro fu presentato nel 1859 all’esposizione allestita proprio a Brera per l’ingresso di Vittorio Emanuele e Napoleone III, mentre una seconda versione venne inviata all’esposizione di Parigi del 1867.

E’ indubbiamente l’opera più popolare del pittore veneziano, artista che in più frangenti si soffermò su tale iconografia, come ne “L’ultimo bacio di Giulietta a Romeo” di Villa Carlotta (Tramezzo, Como), tratto dalla famosa tragedia shakespeariana.

Ancora  una tela intitolata “Il bacio”,  è quella realizzata da Gustav Klimt (1907-08), conservata a Vienna alla Österrechische Galerie. vera summa dell’arte di Klimt. In essa i protagonisti sono uniti in un abbraccio che segna il trionfo del potere dell’eros, capace di sublimare i conflitti tra uomo e donna in una serena ed estatica armonia. Alla decorazione delle vesti, modulata in diversi toni d’oro, è affidata la differenziazione dei due universi sessuali: le figure geometriche di diversa natura, spigolose per l’uomo, morbide e curvilinee per la donna

Il tema dell’unione amorosa torna spesso nelle opere del pittore austriaco, dal giovanile “Amore”, sospeso tra realismo e allegoria,

 alla scena del fregio di Beethoven e all’”Abbraccio” per il mosaico di Casa Stoclet, già appartenenti ad una sfera mitico-simbolica indipendente dalla realtà. 

Liberamente tratto da  "Cultura Spettacoli  Arte "

martedì 12 febbraio 2013

L'amore nella scultura

 L’amore nella scultura, significa  per tutti  pensare  principalmentea tre nomi : Gian Lorenzo Bernini, Antonio Canova, Auguste Rodin.
Riferendoci a Bernini scultura emblematica è l'”Apollo e Dafne” della Galleria Borghese (1622-25), commissionato dal cardinale Scipione Borghese.. Il capolavoro riproduce fedelmente un preciso passo della storia del dio del sole che rincorre la ninfa che da lui fugge, narrata nelle Metamorfosi di Ovidio (I, 450-567). L’attimo rappresentato da Bernini è quello in cui la giovane fanciulla, dopo aver pregato Giove di salvarla, viene tramutata dal padre degli dei in una pianta d’alloro proprio nel momento in cui Apollo la raggiunge. La corteccia avvolge gran parte del corpo, ma la mano di Apollo, secondo i versi di Ovidio, sotto il legno sente ancora il battito del cuore. Bernini, grazie ad una sapiente tecnica riproduce esattamente questo particolare, lavorando la parte di corteccia in maniera talmente virtuosistica da realizzare una sottile sfoglia di marmo. La presenza di questa favola pagana nella casa del cardinale venne giustificata da un distico moraleggiante in latino e inciso nel cartiglio sulla base, che recita: “chi ama seguire le fuggenti forme dei divertimenti, alla fine si trova foglie e bacche amare nella mano”.


Proseguendo il  percorso ci soffermiamo su un’altra scultura notissima, quale “Amore e Psiche” del Louvre (1787-93). L’opera fu realizzata da Canova in due versioni: l’altra terminata nel 1796 è oggi all’Ermitage di San Pietroburgo. Eros sta baciando Psiche per risvegliarla da un lungo sonno.( Il mito  di cui abbiamo scritto nel post di ieri )  Il gruppo scolpito da Canova si presenta come un perfetto organismo plastico, le cui direttrici compositive formano una grande "X", il centro della quale è costituito dalle due bocche che stanno per baciarsi. Tutta l’opera appare come mossa da un ritmo lento e complesso appena interrotto dallo scatto improvviso delle ali di Amore. Le mani premono sulle levigate superfici marmoree di una materia che si è fatta dolce e duttile. La poetica dell’artista di Possagno tocca, con quest’opera, uno dei momenti più alti della sua evoluzione, grazie anche al supporto di una tecnica sopraffina che permette allo scultore di esprimere una contenuta passione sensuale di due corpi che sembrano sul punto di cedere al desiderio





La terza scultura è “Il bacio” (1888-89) custodito nelle sale del museo Rodin di Parigi. Il tema della coppia è un inesauribile fonte di idee per Rodin. La scultura è ispirata alla coppia dannata di Paolo e Francesca per la “Porta dell’Inferno”, forse il complesso scultoreo più famoso dell’artista francese. Fu il governo francese a finanziare “Il bacio”, in scala monumentale, per l’Esposizione del 1889. Ma quando Rodin espose il gruppo, e ciò avvenne solo nel 1898, non fu molto soddisfatto, ritenendola un’opera molto accademica. Persino il poeta austriaco Rilke, per qualche tempo segretario di Rodin, non espresse un giudizio convincente: “L’abbraccio del Bacio è senz’altro grazioso, ma non ho trovato niente in questo gruppo. Si tratta di un tema trattato secondo la tradizione; un soggetto in sé completo, ma isolato dal mondo che lo trascina”. Grazie alle sue forme equilibrate e alla sensualità del tema, l’opera portò comunque molta fortuna al suo autore.


 Liberamente tratto da  "Cultura Spettacoli  Arte "

UNA STORIA MERAVIGLIOSA.





Amore e Psiche




La storia di Amore e Psiche, una delle più belle storie d’amore che ci sono state mai raccontate è inserita in un lungo romanzo dal titolo Metamorfosi composto dallo scrittore latino Apuleio nel II secolo d.C
La storia inizia con un re e una regina che avevano tre belle figlie, le due maggiori erano andate in spose a due principi di altri regni mentre la più piccola di nome Psiche era bellissima, di una bellezza così rara e sorprendente che nessun uomo si sentiva all’altezza di corteggiarla
. Psiche era aggraziata e brillava come una stella tanto era bella, molti pensavano fosse l’incarnazione di Venere, dea della bellezza, così tutti la adoravano come se fosse una dea e addirittura le rendevano omaggio trascurando gli altari della vera dea Venere.

Venere era gelosa e invidiosa della bellezza di questa semplice mortale e offesa decise di vendicarsi di Psiche, decise perciò di chiedere aiuto al suo figlio prediletto Amore, meglio conosciuto da tutti come Cupido.
La vendetta ordita da Venere consisteva nel far innamorare Psiche (tramite le infallibili frecce d’amore del figlio) dell’uomo più brutto e sfortunato della terra affinché vivessero insieme una vita povera e triste, e lei fosse così coperta di vergogna a causa di questa relazione.

Ma il piano di Venere fallì perché suo figlio Amore appena vide Psiche rimase letteralmente incantato della sua bellezza e rapito da quella meravigliosa visione. Preso alla sprovvista da questa visione celestiale fece erroneamente cadere la freccia preparata per Psiche sul suo stesso piede, iniziando così ad amarla perdutamente.

Amore non poteva stare lontano dalla sua amata mortale e così con l’aiuto di Zefiro che la trasportò in volo su un letto di fiori profumati, la bella Psiche fu portata nel meraviglioso palazzo di Amore.
Ogni notte Amore andava dalla sua amata senza mai farsi vedere in volto, e i due vivevano momenti di travolgente passione che mai nessun mortale aveva conosciuto.
I loro incontri avvenivano di notte perché Amore voleva nascondersi ed evitare le ire della madre Venere, così aveva detto alla sua amata che lui era il suo sposo ma che lei non doveva chiedere chi fosse e doveva accontentarsi solo del suo amore senza mai vederlo. Psiche aveva accettato il compromesso ammaliata dalle carezze e dalla passione di Amore e così, giorno per giorno aspettava con ansia che facesse sera per incontrare il suo amato.

Un giorno le sorelle di Psiche la istigarono a scoprire il volto del suo amante così Psiche la notte stessa decisa finalmente di vedere per la prima volta il viso dell’uomo che le travolgeva i sensi. Prese una lampada a olio e una spada, per paura che fosse un orribile mostro pronto a farle del male, era disposta a tutto pur di conoscere finalmente Amore.
Quando Amore la raggiunse, Psiche avvicinò la lampada al suo viso e restò folgorata dalla bellezza eterea di quel bellissimo uomo dalle gote rosee e dai riccioli biondi che aveva un paio di meravigliose ali dolcemente ripiegate sulle sue spalle. Incantata e ancor più innamorata Psiche mentre stava per baciarlo fece accidentalmente cadere una goccia d’olio della lampada su Amore, costui dopo aver capito quello che era successo, si allontanò da lei e scomparve lasciando Psiche nello sconforto più totale.

Appena Venere seppe dell’accaduto s’infuriò e scatenò la sua ira sulla povera Psiche, per punirla la  sottopose a diverse e difficili prove che lei superò brillantemente. Sempre più infuriata Venere pose Psiche di fronte alla prova più difficile: pò la ragazza avrebbe dovuto discendere negli inferi e chiedere alla dea Proserpina un pò della sua bellezza. Psiche scese negli inferi come ordinato da Venere e ricevette un’ampolla dalla dea Proserpina.
Durante la via del ritorno nel mondo reale, Psiche fu incuriosita dal contenuto dell’ampolla donatale da Proserpina e con sua grande sorpresa scoprì che la bottiglietta non conteneva bellezza bensì il sonno più profondo. La nuvola che uscì dall’ampolla fece cadere addormentare profondamente Psiche che venne risvegliata dal suo adorato Amore .
Infine Giove, il padre degli dei, mosso da compassione per le vicissitudini della ragazza fece in modo che i due amanti potessero stare insieme.
Psiche ad Amore si sposarono e dalla loro unione nacque un figlio di nome Piacere.

lunedì 11 febbraio 2013

Bertolt Brecht


"Amare il mondo"

Ci impegniamo, noi e non gli altri,
unicamente noi e non gli altri,
né chi sta in alto, né chi sta in basso,
né chi crede, né chi non crede.
Ci impegniamo:
senza pretendere che gli altri si impegnino per noi,
senza giudicare chi non si impegna,
senza accusare chi non si impegna,
senza condannare chi non si impegna,
senza cercare perché non si impegna.
Se qualche cosa sentiamo di "potere"
e lo vogliamo fermamente
è su di noi, soltanto su di noi.
Il mondo si muove se noi ci muoviamo,
si muta se noi ci facciamo nuovi,
ma imbarbarisce
se scateniamo la belva che c'è in ognuno di noi.
Ci impegniamo:
per trovare un senso alla vita,
a questa vita
una ragione
che non sia una delle tante ragioni
che bene conosciamo
e che non ci prendono il cuore.
Ci impegniamo
non per riordinare il mondo,
non per rifarlo,
ma per amarlo.

 



 

 

 

 

 

 

venerdì 8 febbraio 2013

Giuseppe Ungaretti




Dove la luce
1930

Come allodola ondosa
Nel vento lieto sui giovani prati,
Le braccia ti sanno leggera, vieni.
Ci scorderemo di quaggiù,
E del mare e del cielo,
E del mio sangue rapido alla guerra,
Di passi d'ombre memori
Entro rossori di mattine nuove.

Dove non muove foglia più la luce,
Sogni e crucci passati ad altre rive,
Dov'è posata sera,
Vieni ti porterò
Alle colline d'oro.

L'ora costante, liberi d'età,
Nel suo perduto nimbo
Sarà nostro lenzuolo

mercoledì 6 febbraio 2013

Ugo Foscolo






DI SE STESSO
Perché taccia il rumor di mia catena
Di lagrime, di speme, e di amor vivo,
E di silenzio; ché pietà mi affrena,
Se con lei parlo, o di lei penso e scrivo.
Tu sol mi ascolti, o solitario rivo,
Ove ogni notte Amor seco mi mena,
Qui affido il pianto e i miei danni descrivo.
Qui tutta verso del dolor la piena.


E narro come I grandi occhi ridenti
Arsero d'immortal raggio il mio core,
Come la rosea bocca, e i rilucenti
Odorati capelli, ed il candore
Delle divine membra, e i cari accenti
M'insegnarono alfin pianger d'amore.

lunedì 4 febbraio 2013

Jacques Prévert


Il tempo perso 

Sulla porta dell'officina
d'improvviso si ferma l'operaio
la bella giornata l'ha tirato per la giacca
e non appena volta lo sguardo
per osservare il sole
tutto rosso tutto tondo
sorridente nel suo cielo di piombo
fa l'occhiolino
familiarmente
Dimmi dunque compagno Sole
davvero non ti sembra
che sia un po' da coglione
regalare una giornata come questa
ad un padrone?

domenica 3 febbraio 2013

Georg Trakl


 


 


LAMENTO

Sonno e morte, le cupe aquile
sussurrano la notte, intorno al mio capo:
che dell’uomo l’aurea immagine
sommerga la gelida onda
dell’eternità? Ai paurosi scogli
schiantasi il corpo purpureo.
E lamenta la cupa voce
sopra il mare.
Sorella di tempestosa tristezza
guarda: un impaurito battello affonda
dinnanzi a stelle,
al muto volto della notte


 

Nato a Salisburgo nel 1887 (morto nel 1914 a Cracovia), visse un'infanzia apparentemente serena. Non ebbe successo negli studi. Si legò alla sorella minore, Margarete (Grete), in un rapporto poi diventato incestuoso e che segnerà pesantemente la vita di entrambi, tanto che la sorella si ucciderà poco dopo la sua morte.
Nel 1905 lasciò gli studi per andare a lavorare in una farmacia come apprendista. Era nel frattempo entrato in un circolo di poesia e scriveva recensioni su giornali locali. Scrisse e rappresentò senza successo due drammi: Giorno dei morti (Totentag, 1906) e Fata Morgana (1906).
Si diplomò in farmacia. Per qualche anno prova e abbandona dopo poche ore di lavoro, più posti di lavoro, trascinato dall'inquietudine che non gli impedisce di scrivere. Nel 1913 pubblica la prima raccolta di Poesie (Gedichte, 1913). Richiamato in guerra, è ufficiale addetto alla sanità nella battaglia di Grodek: assiste da solo un centinaio di feriti gravissimi. Nell'angoscia tenta, pochi giorni dopo, il suicidio ma viene salvato e ricoverato nell'ospedale psichiatrico di Cracovia dove, una settimana dopo, si uccide con un'overdose di cocaina. Postuma uscirà la seconda raccolta di poesie, Il sogno di Sebastiano (Sebastian im Traum, 1915).

Trakl sente di rappresentare la sua epoca, di incarnarla e assumerla su di sé in tutte le sue lacerazioni, proprio in quanto si sente sradicato da ogni contesto sociale, straniero alla propria casa, così come alla civiltà e al mondo. L'universalità della sua poesia è nell'estrema esperienza di un destino che sembra aver privato l'individuo di ogni rapporto con la totalità degli altri uomini. Per Trakl il mondo è costituito da frammenti che vanno alla deriva, da particolari spezzati e disgregati, che nella loro miseria possono esprimere solo la nostalgia di un'unità perduta.
Trakl vive fino in fondo, nella poesia e nella vita, questa scissione dell'epoca. Nella sua vicenda privata, agitata da ombre e ossessioni, egli anticipa le catastrofi mondiali, l'agonia del la civiltà che sgretola tutti i fondamenti della vita, sino al calvario della prima guerra mondiale in cui si consuma e distrugge. Il singolo non può prendere partito, la sua unica autenticità possibile è la posizione marginale e sperduta. L'avventura randagia della poesia che scopre la verità della condizione umana, è irriducibile al programma politico perché essa illumina violentemente il nucleo della situazione storica, l'antitesi tra singolo e società che è propria della realtà contemporanea.
Liberamente tratto da : www.girodivite.it

 

 


Ada Negri


IL DONO

Il dono eccelso che di giorno in giorno
e d'anno in anno da te attesi, o vita
(e per esso, lo sai, mi fu dolcezza
anche il pianto), non venne: ancor non venne.
Ad ogni alba che spunta io dico: "È oggi":
ad ogni giorno che tramonta io dico:
"Sarà domani". Scorre intanto il fiume
del mio sangue vermiglio alla sua foce:
e forse il dono che puoi darmi, il solo
che valga, o vita, è questo sangue: questo
fluir segreto nelle vene, e battere
dei polsi, e luce aver dagli occhi; e amarti
unicamente perché sei la vita